L’ora più solare per me
quella che più mi prende il corpo
quella che più mi prende la mente
quella che più mi perdona
è quando tu mi parli.
Sciarade infinite,
infiniti enigmi,
una così devastante arsura,
un tremito da far paura
che mi abita il cuore.
Rumore di pelle sul pavimento
come se cadessi sfinita:
da me si diparte la vita
e d’un bianchissimo armento io
pastora senza giudizio
di te amor mio mi prendo il vizio.
Vizio che prende un bambino
vizio che prende l’adolescente
quando l’amore è furente
quando l’amore è divino.
Ora, occhio nero, lo so che questa fa coppia con Porta vagnu, e per un chimico due coincidenze sono una certezza. Anzi tre, c’è anche la luna alla quale ti sei abbandonata. E cosa c’è di più bello della pazzia di Alda Merini per gridarlo al mondo?
Ma c’è anche il modo di Nazim Hikmet. L’altro modo…
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Non ci crederai, ma questà è di Hikmet la mia preferita.
Non ci crederai, ma mi è venuta in mente domenica scorsa, l’ho cercata per rileggerla.
Sono già all’altro modo?
I poeti
d’altri non hanno futili parole
solo ascosi alfabeti.
Ah, scusa, dimenticavo. Hanno pure quattro più in comune.
Raffrag..
questa mi sfugge..
help!
Beh, io credo che l’una poesia richiami l’altra perché in entrambe l’avverbio ‘più’ ricorre quattro volte. Semplice, no?
Ora, in questo post d’autore, tento di suggerire nuove strade con un omaggio al mio preferito:
Nell’aria fresca d’odore
di calce per le nuove case,
un attimo: e più non resta
del tuo transito breve
in me che quella fiamma
di lino – qull’istantaneo
battito delle ciglia,
e il panico del tuo sorpreso
– nero, lucido – sguardo.
Giorgio Caproni